IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Di Martino
 Mario, nato il 31 agosto 1968  a  Gragnano  (Napoli)  e  residente  a
 Muggia   (Trieste)  in  via  degli  Elettricisti  n.  2,  carabiniere
 effettivo presso la stazione carabinieri di Servola (Trieste).
    Imputato per il reato di:
       A) violata consegna (art. 120 del c.p.m.p.) perche', il  giorno
 14  maggio  1993, intorno alle ore 14,15, all'interno di una camerata
 della stazione carabinieri di Servola-Trieste,  violava  le  consegne
 avute,  maneggiando  l'arma  in  dotazione  (pistola  Beretta 92SB) e
 caricandola e scaricandola al  di  fuori  di  necessita'  d'istituto,
 all'interno  della  camera  e  non  nel  luogo  previsto  per  queste
 incombenze (ved. disposizioni particolari  conosciute  il  giorno  28
 marzo  1991  dall'imputato  e di cui alla nota 295 (2-3 del giorno 22
 maggio 1993 del Comando compagnia carabinieri di Muggia));
       B) minaccia aggravata (art.  229,  primo  e  terzo  comma,  del
 c.p.m.p.  in  relazione  all'art. 339 del c.p.) perche', il giorno 14
 maggio 1993 alle ore 14,15 circa,  in  una  camerata  della  stazione
 carabinieri   di   Servola-Trieste,   dopo   aver  preso  la  pistola
 d'ordinanza dall'interno della fondina posta sopra  il  comodino,  la
 caricava  e  la  puntava in direzione del carabiniere Discenza Gianni
 dicendogli in due occasioni a  distanza  di  alcuni  secondi  fra  un
 episodio e l'altro: "o esci dalla camera o ti sparo".
                            FATTO E DIRITTO
    1.  -  All'odierna  udienza  preliminare,  la  difesa  ha  chiesto
 l'applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. nella misura di mesi
 tre di reclusione militare, con sostituzione, ex  legge  24  novembre
 1981, n. 689, e succ. mod., nella multa per l'importo corrispondente.
    Il   p.m.   non  ha  espresso  il  consenso,  sostenendo  che  per
 giurisprudenza pressoche' costante della Corte di cassazione non sono
 applicabili ai reati militari le sanzioni sostitutive previste  della
 legge  24  novembre  1981,  n. 689, ma ha chiesto che venga sollevata
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53 della legge  n.
 689/1981,  in relazione agli artt. 3 "nella parte in cui non consente
 l'applicazione della sanzioni sostitutive ai reati  militari,  puniti
 con la reclusione militare".
    La difesa si e' associata.
    2.  -  Cio'  premesso,  e'  ben  nota la disputa giurisprudenziale
 concernente  l'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive  ai   reati
 militari  commessi  dagli  appartenenti alle FF.AA. e culminata nella
 sentenza 7 luglio 1987, n. 279, della Corte costituzionale: a  fronte
 della  dizione  letterale  contenuta  nell'art.  54  della  legge  n.
 689/1981, secondo cui l'applicazione delle sanzioni  sostitutive  era
 limitata  alle categorie dei reati di "competenza del pretore", anche
 se giudicati per effetto della connessione da un giudice superiore  o
 commessi da infradiciottenne, sussisteva una lacuna, relativamente ai
 reati  di  competenza  dei  tribunali militari - ancorche' puniti con
 pena detentiva equiparata a quella rientrante  nella  competenza  del
 pretore  -,  che  non era colmabile a mezzo di un intervento additivo
 della  Corte   costituzionale,   consentito   solo   allorche'   "sia
 rintracciabile   nell'ordinamento  una  soluzione  costituzionalmente
 obbligata".
    Di  qui,  la  dichiarazione  di   inammissibilita',   "sicuramente
 inappagante per i requisiti che la giustizia propone con giustificata
 preoccupazione"  e,  quindi,  il  richiamo al legislatore "sull'ormai
 indifferibile esigenza  di  dare  alla  materia  in  esame  una  piu'
 adeguata  normativa",  tra  le cui non poche carenze "addebitabili al
 settore,  quella  della  mancata  regolamentazione   delle   sanzioni
 sostitutive per le pene militari brevi" era da rilevarsi come "ne' la
 meno  grave ne' la meno bisognosa di urgente soluzione" (Corte cost.,
 sent. cit.).
    Orbene, con legge 12 agosto 1993, n. 296  (che  ha  convertito  il
 d.-l.  14  giugno  1993, n. 187) il legislatore, e' intervenuto nella
 materia della sanzioni sostitutive ed  ha  apportato  innovazioni  di
 ampio   respiro   che  sono  apparse  a  certa  giurisprudenza  pero'
 significative e rilevanti anche per  i  reati  militari:  ambito  nel
 quale    si   registrava   perdurante   inerzia   legislativa   anche
 successivamente alla ricordata sentenza della Corte.
    L'art. 5 della legge in questione ha  soppresso  l'art.  54  della
 legge n. 689/1981, facendo venir meno, in tal modo, il riferimento al
 pretore,  come  organo  giudicante,  dinanzi  al  quale  solo - e con
 esclusione delle menzionate eccezioni -  dar  luogo  ad  applicazione
 delle sanzioni sostitutive.
    Conseguentemente,  poiche' non risulta piu' alcun dato legislativo
 ostativo all'applicazione delle sanzioni  sostitutive  da  parte  dei
 tribunali  militari,  si e' formato un'orientamento giurisprudenziale
 presso questo giudicante in tal  senso,  sorretto  dall'opinione  che
 un'interpretazione  in  malam  partem, proprio in mancanza di un dato
 normativo testuale, potrebbe confliggere con il principio  del  favor
 libertatis,  alla cui realizzazione le sanzioni in questione non sono
 estranee.
    La  giurisprudenza  della suprema Corte si e' tuttavia espressa in
 senso  contrario,   rilevando   l'inapplicabilita'   delle   sanzioni
 sostitutive  ai reati militari, anche a seguito della legge 12 agosto
 1993, n. 296, sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
      1) incompatibilita' delle misure in questione con lo  status  di
 militare;
      2)  mancanza di qualsiasi riferimento nella legge n. 689/1981 ai
 reati militari, in special modo per la mancata previsione  di  taluno
 di essi tra le esclusioni oggettive.
    Pur  non  condivenendo  nel merito le suddette motivazioni, questo
 giudicante non puo' non tener conto dell'esistenza di tale prevalente
 indirizzo giurisprudenziale, ormai divenuto diritto vivente.
    Pertanto, essendo questo g.u.p. investito da richiesto delle parti
 ex art. 444 del c.p.p., non potendo dar luogo  alla  sostituzione  ex
 legge  n.  689/1981,  ritiene  di  dover  sollevare  la  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  53  della  legge  24  novembre
 1981, n. 689, nella parte in cui non appare consentire l'applicazione
 delle sanzioni sostitutive anche ai reati militari;
      3)  primo  parametro  costituzionale che sembra leso e' l'art. 3
 della Costituzione.
    Invero, sia che si ritenga  che  le  misure  in  esame  non  siano
 applicabili dinanzi ai tribunali militari - secondo l'interpretazione
 consolidata  ante legem n. 296/1993 -, sia che si reputi che esse non
 lo siano in relazione alla categoria dei reati militari  da  chiunque
 commessi  -  secondo  l'orientamento  espresso dalla Suprema in tempi
 recenti - appare violato il principio di uguaglianza.
    Sotto il primo profilo, e' infatti di tutta evidenza che non  puo'
 essere  il  dato  meramente accidentale del giudizio instauratosi per
 effetto di vicende processuali conseguenti alla connessione (art.  13
 del  c.p.p.),  a  determinare  l'eventuale  applicabilita'  anche  al
 militare delle sanzioni sostitutive, che andrebbe di  contro  esclusa
 in assenza del menzionato vincolo processuale.
    Ancor  piu'  evidente la disparita' emerge poi in riferimento alle
 ipotesi in cui non operando la connessione, a seguito di concorso  in
 un   reato   militare,   il  civile  ottenga  dal  giudice  ordinario
 l'applicazione delle sanzioni ex legge n. 689/1981 e  non  invece  il
 militare, giudicato dal tribunale militare.
    Il  che  poi,  avverrebbe  sistematicamente in caso di concorso in
 reato militare tra militare infradiciottenne, giudicato  dal  giudice
 minorile, e militare maggiorenne, giudicato dal giudice militare.
    Situazioni  tutte  uguali,  che  non  giustificano  un  differente
 trattamento sanzionatorio, mediante misconoscimento al  militare  dei
 sostanziali benefici previsti dalla legge n. 689/1981.
    Sotto  il  rimanente  citato  profilo  (non operativita' in ambito
 penale militare delle misure in questione), non  applicare  al  reato
 militare  le  sanzioni  sostitutive sembra ugualmente contrastare con
 principi di parita'.
    Basti considerare la categoria di  reati  obiettivamente  militari
 (art.  37  del  c.p.m.p.), i quali nei loro elementi costitutivi sono
 previsti in tutto o in parte dalla legge penale comune;  reati,  come
 il  furto, l'ingiuria, l'appropriazione indebita, che in campo penale
 comune pacificamente sottostanno alla sostituibilita' della  pena  ex
 art. n. 689/1981.
    E'  poi  evidente  che  non  puo'  essere la qualifica di soggetto
 attivo di militare a giustificare il  maggiore  rigore  sanzionatorio
 sia  perche', da un lato, il reato militare e' commettibile anche dal
 civile (artt. 6 e 14 del c.p.m.p.), sia perche' "ai militari spettano
 i  diritti  che  la  Costituzione  della  Repubblica   riconosce   ai
 cittadini" (art. 3 della legge 11 luglio 1978, n. 382);
      4)  tale  ultimo  richiamato  principio,  poi, acquista assoluta
 rilevanza anche in riferimento alla  funzione  della  pena  (art.  27
 della Costituzione).
    Se  infatti  si  riconosce  alle  sanzioni sostitutive lo scopo di
 rieducazione del condannato per reati comuni di modesta gravita' e si
 ritiene  che,  in  relazione   agli   stessi,   tale   funzione   sia
 adeguatamente  svolta dalle sanzioni sostitutive, non si vede come il
 medesimo assunto non valga anche per i reati militari,  connotati  da
 caratteristiche  sostanzialmente identiche, commessi del civile o dal
 militare.
    Invero, come dottrina ha  rilevato,  "la  specifica  finalita'  di
 rieducazione  militare  ..  dovra' trovare attuazione nell'esecuzione
 della pena detentiva (soltanto)  quando  a  tale  esecuzione  occorre
 procedere".
    Al  riguardo,  si  osserva  che  la dedotta incompatibilita' delle
 sanzioni sostitutive con lo status  militare,  e'  solo  apparente  e
 superabile  mediante  idonei  accorgimenti  in  fase  esecutiva, come
 d'altronde pacificamente avviene nei casi di applicazione  per  reati
 comuni  a  carico  di  militari  e  di  appartenenti  a  corpi civili
 militarmente  organizzati  (Polizia  di  Stato,  agenti  di   polizia
 penitenziaria).
    Inoltre,  le  misure  in  questione  sarebbero spesso adottabili a
 carico di soggetti, militari di  leva,  che  hanno  gia'  cessato  la
 prestazione  del  servizio militare e nei cui confronti non ricorrono
 quindi difficolta' in fase esecutiva.
    Comunque,    non    puo'    elevarsi    all'assoluta     categoria
 dell'incompatibilita',  la  mera difficolta' pratica d'esecuzione, se
 essa comporta sacrificio dal principio di  identita'  funzione  della
 pena a fronte di identiche situazioni.
    Per  gli  esposti motivi, si rimette la soluzione della questione,
 nei termini prospettati, alla Corte costituzionale.